Si fa un gran parlare delle emozioni e su di esse c’è chi ci costruisce le proprie fortune. E ciò è facilmente intuibile facendo qualche semplice esempio. Prendiamo un bel romanzone e priviamolo della dimensione emotiva: diventa un guscio vuoto, una sequenza di concetti poco stimolanti e la lettura probabilmente cesserebbe dopo qualche pagina. Questo vale pure per un film, ma anche per un discorso politico.
Andate in un ipotetico supermercato in cui i prodotti siano confezionati alcuni in modo neutro e altri nella foggia colorata. Quali credete che maggiormente vengano acquistati?
Perché la pubblicità quando parla di creme o detersivi non usa mai il termine appropriato di chimica, ma lo sostituisce con il termine tecnologia? Non sentirete mai dire la “chimica” di questo prodotto, bensì la “tecnologia” del prodotto, perché il termine chimica spaventa, mentre tecnologia è più rassicurante.
E c’è di peggio! Il DNA di questa macchina al posto della meccanica? DNA è più prestigioso e raffinato di meccanica. I pubblicitari sanno benissimo che più che vendere un prodotto devono vendere un’emozione ed è per questo che manipolano le parole, correggono le immagini e usano toni così inusuali. Avete notato come spesso a fine spot si odano voci più da camera da letto, che da comunicazione commerciale?
Chi tornando a casa, non ha immediato sentore di che aria tiri, entrando? Quel aria è soprattutto emotiva. Ciò vale ovunque andando. Ci attirano i posti sereni e belli, perché emotivamente nutrono la fiducia e l’aspettativa di star bene. Tutti segretamente coccoliamo il desiderio d’esser felici. Le emozioni sono ubiquitarie, perché hanno la facoltà di essere presenti in tutte le manifestazioni umane. Il problema non è se ciò sia vero, ma se ne siamo consapevoli. Le emozioni muovono letteralmente il mondo, perché senza di esse non si va da nessuna parte.
Lo ha tragicamente scoperto un importante amministratore delegato d’una multinazionale in seguito all’asportazione chirurgica d’una porzione cerebrale situata fra il cervello delle emozioni e la corteccia. Al rientro sul posto di lavoro egli continuava ad analizzare le situazioni con l’antica sagacia, ma era incapace a prendere le decisioni. Non avendo più contatto con le sue emozioni, il brillante dirigente non riusciva più a risolversi sul daffare. Noi diremmo con linguaggio semplice che è la ragione che analizza i problemi, ma è il cuore che prende le decisioni.
Del resto chi si sposerebbe o inizierebbe una nuova attività o professione solo in forza d’un raffinato ragionamento senza ascoltare le proprie emozioni?
Le emozioni, e maggiormente le più durature passioni, presiedono la nostra quotidianità e solo le persone che trovano un equilibrio tra ragione e cuore possono gustare la vita.
Come è fatta un’emozione?
Se però vi fosse rivolta la domanda di come son fatte e funzionano le emozioni, cosa sapreste rispondere? Consolatevi, non siete messi male, perché non lo sa la maggioranza. Immaginate che tra i ricercatori di psicologia sperimentale, anche fra i più accreditati, circola l’idea di lasciar perdere la ricerca e dedicarsi ad altro. Ricordate la volpe della favola antica sotto la vite con i grappoli fuori dalla sua portata? Lo stesso sta accadendo a queste menti sopraffini.
Eppure se domani mattina una gazzella si svegliasse e smettesse d’aver paura, potrebbe andare ad accarezzare un leone, il quale ringrazierebbe per il dono di una sì facile preda!
E allora evviva la paura! Aver paura non è piacevole, ma salva la vita.
Provate andare indietro con la memoria ai vostri momenti topici, momenti di grandi decisioni, e togliete le forti emozioni presenti, pensate che avreste trovato la forza di scegliere ciò che vi ha fatto prendere la direzione nuova della vostra vita? Certe cose si scelgono col cuore, cioè ascoltando l’emozione.
L’emozione è un meccanismo di interazione.
La paura ci fa allontanare dal pericolo, la rabbia ci fa reagire di fronte alle minacce, la fiducia ci dà la forza per affrontare la quotidianità, la gioia riempie di luce i nostri momenti migliori. Le emozioni stanno nella terra di mezzo fra i nostri bisogni e l’ambiente e ci avvisano e spingono ad agire.
Alcuni esempi. Tra il nostro bisogno di sopravvivenza ed un pericolo c’è la paura, la quale ci informa su di esso e ci spinge ad evitarlo. Tra il nostro bisogno di sicurezza ed una minaccia c’è la rabbia, che ci spinge a reagire contro. Tra una perdita, una sconfitta o un lutto ed il nostro bisogno di successo o di appartenenza c’è la tristezza, che si incarica di elaborare la sofferenza subita, altrimenti insopportabile. Tra il nostro bisogno di amare ed essere amati e le persone care c’è l’affetto e la tenerezza, che rinsaldano i legami.
Quindi ogni emozione, con la sua contraria, è specializzata per affrontare le situazioni che le sono specifiche. La paura segnala il pericolo e la fiducia l’assenza di pericolo. La gioia segnala la vittoria e la tristezza la sconfitta.
Deve essere dunque chiaro che ogni emozione ha la sua contraria: una propende all’allontanamento e l’altra all’avvicinamento, una è spiacevole e l’altra è piacevole. La paura è spiacevole e propende per l’evitamento, mentre la contraria fiducia è piacevole e propende per l’avvicinamento.
Come è evidente, l’emozione non è il semplice atto del sentire, cioè un sentimento, ma è un meccanismo potente che l’evoluzione ha sviluppato per la nostra sopravvivenza e per il nostro adattamento continuo alle situazioni. Senza emozioni non si va da nessuna parte!
Fenomenologia e struttura dell’emozione.
Le emozioni funzionano come tutti i meccanismi di flusso. Osservate quello che si fa nel prendere un ascensore. Si manda un input schiacciando il pulsante; il sistema centrale verifica che tutto sia funzionante; si attiva e arriva. Così accade anche per le emozioni e facciamo l’esempio della paura.
Stimolo (input). C’è nell’ambiente un uomo con una pistola in mano, fatto che risveglia il nostro bisogno di sopravvivenza.
Valutazione (valutazione emotiva). Il nostro cervello valuta che sia un pericolo.
Attivazione. Si attiva il corpo e soprattutto gli arti inferiori.
Risposta (output). Scatta la fuga.
Ovviamente i tempi dell’emozione sono rapidissimi, una frazione di secondo, quanto basta in alcune situazioni particolari per salvare la vita.
Anche in questo momento l’emotività è in azione.
1 – Guardo quello che scrivo.
2 – Lo valuto positivamente.
3 – Mi impegno a continuare.
4 – Scrivo.
Quale emozione mi sta guidando? La fiducia di esprimere concetti positivi. Ma questo vale anche per chi legge.
1 – Legge lo scritto.
2 – Lo valuta automaticamente in modo positivo o negativo.
3 – Se non piace o convince.
4 – Smette di leggere. Al contrario continua.
Questo meccanismo è sempre in atto, in modo umorale se non si è consapevoli, in modo emozionale quando si è presenti al sentire.
Quando l’emozione si fa più resistente e dura nel tempo, allora diventa una passione. Una cosa è emozionarsi di fronte ad un pericolo e altro è diventare un difensore dei deboli. Tutti gli esseri viventi hanno paura dei pericoli. Ma solo pochi dedicano la loro vita a combattere minacce e pericoli. A tutti piace e fa venire l’acquolina in bocca un cibo appetitoso, ma pochi diventano cuochi. Tutti siamo attratti dai dolciumi, ma solo chi ha la passione diventa pasticcere.
L’emozione affronta i compiti brevi, la passione invece i compiti a lungo termine. Una vita senza passione è in balia della noia e del nonsenso, perché là dove non c’è cuore, non c’è neanche entusiasmo.
Che cos’è l’interazione?
L’interazione è l’azione che passa almeno fra due soggetti. Si dice infatti inter-azione, cioè azione-fra. In questo momento io sto interagendo con il mio computer, ma idealmente anche con i lettori. Ciò vuol dire che sono dentro una relazione con voi, in cui l’azione del mio scrivere ha come fine il vostro leggere.
Quindi nell’interazione c’è un aspetto di relazione ed uno di azione. Convien fare un esempio. Consideriamo la relazione come una piscina dentro la quale circolano le azioni. Se nella piscina entra un interlocutore che trasporta veleno, tutta la piscina presto s’inquina. Ma se invece entra un che porta miele, rapidamente tutta l’acqua s’addolcisce. L’acqua è la relazione e se è avvelenata, avvelena tutti, al contrario la dolcezza rasserena tutti. Azione e relazione sono le due facce di una stessa medaglia, l’interazione, e si influenzano a vicenda, tanto che si può affermare che “non vi è azione senza relazione e la relazione precede l’azione”.
Pensiamo ad un bacio, ciò che di più bello ci sia nell’espressione d’affetto. In una relazione d’amore il bacio è qualcosa di sublime, mentre in una relazione ostile è tradimento, il bacio di Giuda! Quindi è la relazione che definisce la qualità dell’azione.
Ritornando all’emozione, i primi due punti di flusso dello stimolo/valutazione sono il momento della relazione, mentre l’attivazione/risposta riguarda l’azione. Infatti continuamente siamo in relazione con quanto ci circonda e agiamo di conseguenza.
La nostra attenzione ci rende consapevoli di quel che facciamo, ma è la coscienza in quale relazione stiamo con il nostro fare che guida e caratterizza le nostre azioni. Una cosa è andare a cena con la persona del cuore e altro è l’andarvi per una cena d’affari. Si tratta in ambedue i casi di mangiare, ma dentro due relazioni incomparabili, per cui nel primo caso tutto è così emotivamente soffuso, mentre nel secondo tutto potrebbe andare di traverso. Stessa azione del mangiare, ma relazione diversa!
Le relazioni quindi, condizionano le azioni.
Relazione ed emozioni
Le emozioni modulano le nostre relazioni ed azioni attraverso la loro piacevolezza o sgradevolezza e la propensione ad avvicinare o allontanare.
Le due emozioni principali che intervengono nella relazione sono la ostile rabbia, la quale racchiude ben 49 categorie come gelosia, ingratitudine, indignazione, esasperazione, disprezzo, inimicizia, ira, collera, rancore, odio, orgoglio, invidia, furore, dispetto, astio, impazienza, ostilità, superbia, intolleranza, sdegno, nervosismo, stizza, avversione, irascibilità, furia, risentimento, malanimo, incuranza, escandescenza, antipatia, scontrosità ecc.
Mentre la contraria amicale filia ne ha 41 come bontà, innamoramento, adorazione, riguardo, gentilezza, pazienza, affidabilità, amabilità, rispetto, conforto, pietà, riverenza, benevolenza, misericordia, amicizia, amore, venerazione, affetto, cordialità, indulgenza, gratitudine, tolleranza, riconoscenza, stima, compassione, confidenza, tenerezza, carità, calorosità, accondiscendenza, empatia, eros ecc.
La rabbia respinge, aggredisce, offende ed umilia la relazione, mentre la filia la colora, la potenzia e la esalta.
La conseguenza di una relazione negativa ed ostile è il tormento ed il senso di colpa composto da 19 categorie: umiliazione, avvilimento, vergogna, rimorso, meschinità, pudore, miserabilità, senso di soggezione, rincrescimento, mortificazione, demoralizzazione, ecc, accompagnati dallo stress, che non promette nulla di buono per la relazione, ma anche per la salute. Mentre le relazioni filiache, affettuose ed empatiche, generano serenità, pace, entusiasmo e, a livello alto, la felicità. Solo 5 sono le categorie: diletto, letizia, gaudio, felicità ed estasi. Nella lingua italiana le emozioni positive hanno meno successo, meno lessico delle negative e questo potrebbe voler dire che non siamo così solari come ci descriviamo.
Azione ed emozioni
Le due emozioni principali che intervengono nell’azione sono la paura e la fiducia: la paura inibisce l’azione, mentre la fiducia la potenzia e il coraggio la esalta.
La paura racchiude 37 categorie: diffidenza, turbamento, smarrimento, sbigottimento, scoraggiamento, sospetto, timore, viltà, spavento, orrore, agitamento, ansia, apprensione, malfidenza, trepidazione, sgomento, inquietudine, preoccupazione, nervosismo, tremore, terrore, sconvolgimento, sfiducia, irrequietudine, fifa, insicurezza, ossessione, panico, fobia, strizza ecc.
La fiducia ne ha 24: coraggio, sorpresa, speranza, tranquillità, quiete, ammirazione, meraviglia, serenità, placidità, sicurezza, audacia, stupore, calma, senso del mistero ecc.
Quando l’azione è efficace e realizza i suoi risultati si avrà soddisfazione, piacere o gioia, mentre l’inefficacia, la perdita o la sconfitta generano la tristezza.
La gioia conta un totale di 21 categorie: consolazione, ilarità, rallegramento, esaltazione, soddisfazione, giovialità, allegria, contentezza, gratificazione, entusiasmo, sollievo, divertimento, spensieratezza, buonumore, euforia ecc.
La tristezza ha 45 categorie: affanno, abbattimento, tribolazione, amarezza, compianto, malinconia, cordoglio, lutto, sofferenza, dolore, sconforto, angoscia, pena, afflizione, travaglio, cruccio, disperazione, prostrazione, incontentabilità, delusione, patimento spasimo, strazio, infelicità, depressione, desolazione, cupezza, rammarico, malumore, malcontento, scontento, rimpianto, inconsolabilità, insoddisfazione, rassegnazione, nostalgia, disillusione ecc.
Qualche considerazione
È convinzione diffusa che la felicità discenda dal successo, dal possesso e dal potere. Falso! La felicità è figlia dell’innocenza, in-nocens, cioè della scelta di non esser mai nocivi e di praticare l’amore. Ciò significa che per essere innocenti nel senso lessicale del termine, si debba praticare continuamente l’arte del saper chiedere e dare perdono, del saper assumersi le responsabilità e di coltivare intenzioni pacifiche.
Dalle azioni positive si ricava soddisfazione, ma anche piacere e al livello più alto la gioia.
Fra felicità e gioia corre una sostanziale differenza. La prima è uno stato che dura nel tempo ed indica uno stare in pace ed in amore con il mondo, con gli altri e con se stessi. È meno intensa della gioia, ma è molto più duratura. La gioia è intensa, ma anche breve, come sono tutte le soddisfazioni, i piaceri ed il successo. Confondere la gioia con la felicità è indice di analfabetismo emotivo, è il non saper distinguere fra uno stato interiore ed una emozione. È vero anche che si confondono perché spesso si accompagnano, come è vero che la relazione e l’azione sono le due facce dell’interazione.
Ma nella vita il confonderle ha serie conseguenze. Tutti desideriamo esser felici, ma non tutti sappiamo che la felicità è il frutto dell’amore, cioè delle relazioni filiache e non dei miti contemporanei della visibilità, del successo e del possesso. Confonderli ha gravi conseguenze: delusioni, tristezze, malessere e persino depressione.
Consigli per l’uso
Ogni emozione non resa consapevole e non comunicata, agisce prima di tutto su di noi e poi indirettamente sugli altri, perché l’emozione non espressa rimane impressa dentro, e se è negativa genera stress, malattia. L’analfabetismo emotivo è caratterizzato dalle emozioni agite, cioè tradotte subito in azioni, non rese consapevoli, e colui che non è competente del proprio vissuto emotivo, avrà anche difficoltà a leggere le emozioni altrui. Tutto il segreto sta nel leggersi con sincerità dentro.
La competenza emotiva parte dal riconoscere ed esprimere il proprio vissuto emotivo e saperlo comunicare agli interessati. Saper dire: “ho paura, sono arrabbiato, sono triste, mi sento in colpa” è impedire che queste emozioni negative e potenti diventino l’azione della fuga o l’aggressione, il nascondimento o la vergogna, tutte risposte inadeguate. Saper esprimere: “ho fiducia, ti voglio bene, sono contento, sono sereno” aumenta il benessere nostro e di chi ci circonda.
Per arrivare a leggere le proprie emozioni è necessario dedicare del tempo all’ascolto del nostro sentire, ponendoci la domanda di quale sia il nostro tono emotivo. Una mezz’oretta al giorno di meditazione salva la qualità della nostra vita, altrimenti saremo in balia dell’inerzia emotiva: un fare affannoso ed inconsapevole guidato dalle situazioni e da una emotività allo stato brado ed inconsapevole.
Le nostre azioni possono essere motivate da bisogni primari come la sopravvivenza e la riproduzione. Esempio: “scrivo per far soldi”. Oppure, nei bisogni secondari, ci diamo da fare per aver successo e ricchezza: “scrivo per diventare famoso”. Nell’uno come nell’altro caso al massimo ci accadrà d’esser soddisfati e magari aver una botta di gioia, ma poi la battaglia ricomincia e via ad affannarsi. C’è però un altro ordine di bisogni più alti: i bisogni di senso, significato e finalità. “Scrivo, perché credo in quel che dico, sono convinto che è ricco di significato e di valore, e porterà frutti positivi”. Solo chi lavora, agisce e si impegna per motivi veri e giusti, per il bene ed il bello e con finalità ricche di speranza avrà il premio della felicità.
Sta a ciascuno di noi scegliere, cioè esercitare la libertà e l’assumersi la responsabilità, per quale motivo principale giocarci la vita, non dimenticando mai che: “fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”.