Le emozioni fondamentali
Quando si vanno a studiare le emozioni fondamentali ci si imbatte in più di un elenco. Plutchik ne elenca 8, Panksepp e Scott 7, Epstein ne riconosce 4, mentre Izard ne identifica addirittura 10. Paul Ekman, ispiratore delle 5 emozioni utilizzate dai sceneggiatori di “Inside Out”, ne ha trovate 6. Sroufe invece, ne constata solo 3 e per Brenner ce ne sono unicamente 2. C’è di che divertirsi!
Ogni volta che leggo Panksepp o anche Ekman, due ricercatori che godono di ampia letteratura, mi colpisce subito il criterio di base a cui si rifanno nella loro ricerca. Ekman attribuisce valore di emozione fondamentale a quelle particolarmente icastiche e riconoscibili dal punto di vista espressivo. Mentre Panksepp si rifà, da buon ricercatore e neuroscienziato, alle evidenze cerebrali, secondo cui ogni emozione di base deve avere un correlato cerebrale chiaramente verificabile.
Ora questi criteri vanno bene per le emozioni ad alto tasso di specificità, come paura, rabbia, tristezza, ecc.
Se però andiamo ad analizzare una emozione come la fiducia, senza la quale nessun animale si muoverebbe, osserveremmo che, assomigliando ad uno stato emotivo, non ha una ben definita specificità, perché il suo input precipuo è l’assenza di pericolo. Inoltre non possiede una espressività forte. Anche per il neuroscienziato dice poco, perché in presenza di fiducia non trova niente di fortemente attivo nel cervello. Se poi si analizzassero i neurotrasmettitori attivi, non si troverebbero evidenze così significative. Stessa cosa dicasi per la felicità o la serenità e lo stato di pace.
A mio avviso queste teorie sottovalutano il fatto che l’emozione è un bisogno che agisce. Per esempio nella paura è il bisogno di sopravvivenza ad attivarsi. Finché i bisogni sono primari (sopravvivenza e riproduzione) l’attivazione cerebrale è facilmente rintracciabile, vedi ricerca, difesa, attacco e sesso, cioè curiosità, paura, rabbia ed attrazione sessuale.
Al livello immediatamente superiore dei bisogni secondari le cose cominciano a complicarsi, perché appartenenza o stima, tanto per fare un esempio, attivano più di un sistema cerebrale.
Più in su, a livello del logos, quando entrano in campo i bisogni cognitivi e spirituali, i suddetti criteri di ricerca non reggono più, anzi confondono, perché senso, significato e finalità hanno da che fare con le strutture più recenti, le quali rispondono più ad una organizzazione o stato cerebrale, che all’attivazione di una singola parte del cervello.
A mio avviso tutte queste teorie soffrono di un deficit antropologico, giacché nell’uomo il tutto (l’organismo) è sempre maggiore della somma delle parti. Ed il tutto umano è più della somma delle sue varie funzioni. Ogni singola emozione ha importanza in riferimento al sistema uomo, il quale viene prima di ogni sua funzione, la cui importanza non risiede nell’evidenza espressiva o cerebrale, ma nella sua adattabilità come organismo.