Il modello di flusso dell’atteggiamento è simile a quello dell’emozione, con la differenza che le emozioni sono generate da stimoli specifici (es. il pericolo per la paura, la perdita per la tristezza), mentre gli atteggiamenti da stimoli culturali appresi. Il colore rosso in natura parla di frutto maturo, cioè attrazione, ma in un semaforo vuol dire pericolo, cioè paura.
Normalmente ci colpiscono di più gli atteggiamenti che seguono a processi di generalizzazione.
I pregiudizi sono di questo tipo, cioè emici del popolo, perché nascono da processi di attribuzione di tipo culturale, da convinzioni che assegnano arbitrariamente un valore ed un significato diverso e/o accrescitivo tanto positivo che negativo ad un dato input: vedi gli atteggiamenti razzisti, xenofobi o sessisti. L’atteggiamento razzista attribuisce una caratteristica di disvalore o di pericolo senza alcuna comprova al diverso di turno che può essere il nero, piuttosto che all’ebreo o altro. Attraverso i processi di categorizzazione la cultura attribuisce un significato agli input che generano gli atteggiamenti. Sebbene gli input siano normalmente esterni è però evidente che l’atteggiamento li modifichi pescando negli apprendimenti. Ogni cultura possiede le proprie convinzioni, valori, stereotipi e pregiudizi che tende a rinforzare e confermare continuamente. Gli atteggiamenti, come le passioni, si apprendono e/o si maturano.
La cultura in buona sostanza, da un punto di vista timologico, non è nient’altro che un corpo di atteggiamenti condivisi, che la trasmissione e l’apprendimento perpetuano. Visione del mondo, strutture e strategie sociali, modalità affettive, abitudini alimentari ecc. sono tutti atteggiamenti appresi e partecipati, che strutturano l’appartenenza e l’identità culturale. Provare a contraddirli e a cambiarli comporta resistenze emotive fortissime. A ciò provvede una valutazione di tipo preclusivo, che si vieta una possibile interpretazione diversa, determinando una resistenza alle azioni di cambiamento delle abitudini connesse.
Ogni area culturale si avvale di atteggiamenti collaudati e condivisi (emici) che danno prevedibilità, sicurezza e rapidità di lettura degli avvenimenti, talché si può parlare di vera e propria antropologia emotiva. Da qui discende l’identificazione degli atteggiamenti come competenza culturale. Possedere infatti un corpo di atteggiamenti condivisi, che guidi l’individuo nel proprio ambiente, dà sicurezza ed accettazione sociale.
Anche la storia della scienza ha evidenziato come le teorie tendano a diventare atteggiamenti mentali strenuamente difesi. Non è che la teoria einsteiniana della relatività sia stata prontamente accettata dal mondo scientifico. Così è puntualmente accaduto anche ad altre fortunate teorie precedenti. La storia annovera molte vittime del pensiero nuovo. Bruno, Galileo, Darwin e tanti altri illustri pensatori e scienziati hanno dovuto far i conti con le resistenze timiche e gli atteggiamenti culturali. Come è stato affermato, una teoria non muore mai: sono i seguaci, che muoiono. Pensare, categorizzare, creare paradigmi nuovi può minacciare il sistema degli atteggiamenti condivisi con reazioni sproporzionate e poco prevedibili. Ogni nuova teoria può rivestire una minaccia alla cultura corrente e attivare le difese antropologiche. Ci vuole molto coraggio per cambiare, ma chi è fermo nei propri atteggiamenti, nelle proprie convinzioni e conoscenze diventa timicamente resistente ad ogni cambiamento. Le convinzioni che alimentano gli atteggiamenti sono i muri entro i quali custodiamo la nostra visione del mondo e imprigioniamo tutta la realtà, salvo poi scontare la vendetta dell’oggetto, perché nessuna descrizione potrà mai sostituire il paesaggio, giacché nessuna potrà mai pretendere di essere la realtà, infatti “la mappa non è il territorio.