Emme, storia di un verme

Gli abitanti dell’albero lo chiamavano Emme, perché, quando fuggiva, s’inarcava come la consonante, facendo ghignare tutti.
La sua vita di bruco era quanto di peggio si possa augurare ad un piccolo essere innocuo.
“Vita da verme!” gli gracidava fragorosamente la cornacchia. La cincia ridanciana si divertiva a pizzicarlo da dietro e poi a sputare sghignazzando: “Che schifo!”
Emme, ormai, non viaggiava più sopra i rami, ma preferiva faticosamente aggrapparsi alla corteccia camminando sotto, tanto si vergognava di sé.
Ad uno ad uno i suoi fratelli erano diventati il pasto di qualche lucertola o mantide religiosa.
Col tempo aveva perso la voglia di vivere e si arrovellava sempre più nelle sue paure. Dopo ogni fuga affannosa si fermava a compiangersi, finché decise che non aveva più voglia di scappare. Allora esausto si rotolò su se stesso nell’incavo del ramo più basso ad aspettare la fine. Chiuse gli occhi e spiava con l’orecchio ogni rumore cercando di capire da dove potesse arrivare la liberazione da una simile vita.
Stava così ruminando quando un raggio di sole si fece strada fra le foglie e lo guardò con tenerezza. Emme sentì riscaldarsi il cuore. “Dormi, gli sussurrava dolcemente la luce, dormi e non aver paura.” Poi lo avvolse nei sogni che cancellano il peso del cuore.
Emme si sentì amato.
Allora tutto divenne leggero. Il vento gli donò le ali ed il sole i colori. Dall’incavo del ramo più basso si levò in volo una farfalla regale.
La corteggiò il sole, danzò con il vento e andò sposa all’Amore che l’attendeva sui prati della tenerezza cosmica.

Tratto da “Se vuoi essere felice. Riflessioni sulla felicità” Amazon: http://www.amazon.com/Se-vuoi-essere-felice-Riflessioni/dp/1500488550