Nel quotidiano parlare delle emozioni raramente si va più in là del puro concetto di sentimento, inteso come atto del sentire. Spesso addirittura si confonde con la sensazione. Più spesso si cade nella banalità. Mentre i maître à penser, gli opinionisti, fanno perlopiù solo della letteratura. Il nocciolo del problema è tutto nella domanda: “A che servono le emozioni?”
Nella storia del pensiero le emozioni sono state bistrattate come i gatti, i quali erano sacri per gli egizi e nel medioevo rappresentavano invece il diavolo, tanto che venivano rappresentati nell’iconografia al fianco delle streghe. Ci sono stati periodi storici in cui essere emotivi aveva una connotazione di irrazionalità e altri in cui l’emotività era posta al centro dell’immaginario passando dal romanticismo al sentimentalismo fino alle melense storie dei fotoromanzi rosa di fresca memoria.
Ciò che si rileva in tutto questo contesto è la sotterranea convinzione della marginalità scientifica del fenomeno emotivo ed il dubbio sull’utilità dello studio delle medesime, tanto che nello stesso mondo della ricerca la Feldman-Barrett, nota studiosa delle emozioni e fondatrice redattrice capo della rivista Review Emotion, faceva notare già nel 2002 come la ricerca sulle emozioni stesse attraversando un periodo privo di novità, rilevando negli studi correnti una certa ripetitività ancorata alle auctoritates, assecondata anche dall’atteggiamento del settore che pubblica queste ricerche.
La timologia invece, si propone di dare una risposta diretta e il più chiara possibile, nonostante le indiscutibili difficoltà. Facendo ricorso al paradigma della fisica quantistica ha preso come dato iniziale di riferimento il concetto di interazione. Infatti il principio di indeterminazione, caro ai fisici, ci dice che l’unica cosa di cui siamo certi alla fine di ogni esperimento è che c’è stata un’interazione. Mentre la risposta è frutto della sollecitazione del sperimentatore sull’oggetto osservato, per cui l’osservatore nell’atto dell’osservare agisce sulle cose modificandole. Da questo punto di vista l’unica certezza che rimane è l’interazione e come tale va affrontata per non correre il rischio di cadere nella elucubrazione scientifica.
E allora quali sono i poli di interazione entro cui accade l’emozione?
Da una parte vi è l’ambiente con le sue regole e disponibilità e, dall’altra, le necessità dell’organismo di interagire con quanto lo circonda per svilupparsi. Quando un vivente ha bisogno di nutrimento e incontra il cibo, allora prova attrazione. Se invece si imbatte in un pericolo, il suo bisogno di sopravvivenza parlerà attraverso la paura. Nella solitudine e nella perdita il bisogno di appartenenza si svelerà attraverso la tristezza: tutte emozioni! A questo punto si può finalmente rispondere alla domanda iniziale:
Le emozioni sono meccanismi di adattamento contingente e hanno la funzione di mediare l’interazione tra le esigenze dell’organismo e quelle dell’ambiente.
Se domani una gazzella si dimenticasse di avere paura non arriverebbe a sera. Se all’improvviso entro ciascuno di noi scomparisse l’affetto, la simpatia e l’empatia tutto sprofonderebbe nel marasma. Senza emozioni non si va da nessuna parte, perché sono necessarie allo svolgimento di qualunque vita. Attrazione/repulsione, soddisfazione/insoddisfazione e tutte le altre emozioni sono la musica ed il motore della vita di ogni essere vivente. Esse stanno dietro ogni volontà di vivere e ogni decisione.