LA PRETESA

LA PRETESA

Il volere fortemente e con decisione qualcosa che si ritiene ci spetti, il chiedere con arroganza e ostinazione, il rivendicare ragioni o meriti non riconosciuti da altri e il ritenere di essere capace di fare cose non alla propria portata, si definisce PRETESA.
La pretesa è un atteggiamento relazionale intriso di contrarietà e di sgradevolezza!
La pretesa non ha un input o stimolo specifico, si può infatti pretendere qualsiasi cosa, dalla più circostanziata alla più generale. La difficoltà di descriverla in termini strutturali nasce dal fatto che è come il desiderio, (vuole, tende-a), e quindi fa parte dell’area dell’attrazione, ma partecipa ad un volere assertivo, esigente, rivendicativo, affermativo. La pretesa è infatti un potente motore d’invidia, d’orgoglio ed anche d’ira, che non accetta il principio di realtà. Pre-tendere, infatti, è un volere per forza; un reclamare, un arrogarsi, un sostenere; un preciso modo di pensare ed immaginare; un presumere, credere, ritenere tutto individuale; un tendere, aspirare ed ambire che non ammette opposizione.
La pretesa è un andare verso il reale, considerandolo come doverosamente obbediente alle proprie aspettative.
E qui risiede l’inversione funzionale, la quale consiste nel far precedere la conseguenza alla causa, cioè un metter il carro davanti ai buoi. In questo caso ciò che è preteso, non è possibile che preceda, se non in modo del tutto irrazionale, a ciò che lo genera. Esempio: è il mangiare che soddisfa il nostro bisogno di nutrimento. È del tutto, quindi, irrazionale pretendere di essere soddisfatti, senza prima procurarsi il cibo e nutrirsene.
Stare-al-mondo con la pretesa è un vivere che si aspetta che l’ambiente, la società ed il tempo abbiano il dovere di rispondere ai nostri bisogni, dimenticando che lo stanno già facendo. L’ambiente, nella sua provvidenzialità, risponde già ai nostri bisogni primari con aria, calore, acqua e terra che nutre; la famiglia e la società provvedono attraverso le appartenenze ai nostri bisogni psicologici e sociali; mentre il tempo alimenta la nostra conoscenza.
I costi emotivi e biologici della pretesa sono altissimi. Primo fra tutti: niente felicità!
Vivere nella pretesa corrisponde a obbligarsi costantemente dentro una latente ansia, la quale toglie ogni serenità, che, invece, è una delle precondizioni timologiche per essere felici.
In ambito sociale la pretesa si manifesta nelle invidie per quello che gli altri sono ed hanno in più, dimenticando quali buoi questi abbiano dovuto spronare per raggiungere i loro traguardi. Non manca l’orgoglio o la superbia di chi credere di possedere capacità o qualità che in realtà non ha. E c’è poi anche l’ira o la rabbia per quando la pretesa non ha le risposte presunte. La pretesa è un stare-al-mondo-contro costantemente.

  • Come nasce la pretesa?
    Per conoscere l’origine di un atteggiamento così radicale occorre rivolgersi alla psicanalisi, la quale ne scorge le origini fin dall’inizio della vita, durante la fase orale della formazione della personalità, quando i bisogni primari sono imperativi. In quella fase il bimbo vive con la madre in simbiosi, ottenendo cibo e protezione continua nel momento stesso in cui li richieda. Freud definisce questa fase il momento dell’onnipotenza. Ma la presenza della madre, per ovvie esigenze non sempre è costantemente a disposizione del suo piccolo. Succede invece che per incombenze, preoccupazioni, per tanti altri compiti e per le situazioni più svariate, la disponibilità materna sia diversa dalle urgenze del figlio. Ovviamente la reazione del neonato, che non comprende gli impedimenti materni, ha comunque necessità e pretende che il suo bisogno venga soddisfatto. Chiaramente da un picciolo, così inerme ed indifeso, non ci si può aspettare che comprenda la situazione. Nella sua condizione di totale indifesa, l’assenza della madre, per quanto breve, può trasformarsi in paura e prolungarsi nel terrore, nel qual caso la richiesta si trasforma, diventa assillante, forte ed aggressiva, e alla fine pretensiosa, al punto che il rifiuto non sia più ammesso per nessun motivo. Allora il bisogno s’ingrandisce fino a diventare impossibile da soddisfare. Ma il suo ingigantirsi accresce purtroppo la sensazione di essere trascurato, dimenticato, abbandonato, fino al terrore di non sopravvivere. A questo punto tenterà tante possibili strategie manipolatorie dalla seduzione alla pretesa, fino allo sfinimento ma-terno.
    Similmente il piccolo fissato nella pretesa, diventato la persona adulta, che si è inconsciamente fissata sulla pretesa, non vede altre soluzioni, non le percorre, e molto probabilmente non le riconosce neanche se le vengono proposte e descritte. Continua a vedere solo il suo bisogno e la paura costante di essere dimenticato. E se qualcuno tenta di convincerlo che esistono altre spiegazioni potrebbe anche arrabbiarsi, adducendo alla distrazione della madre che si distraeva, colpe per mancata attenzione, e abbandono.
    La pretesa dell’adulto diventa, dal punto rigido di vista della pretesa, una questione di giustizia. L’antica carenza subita rimane un conto in sospeso, un’egoica urgenza da risarcire. Ed in questo è rinforzata dalla latente e antica paura, quando pretende, che oscura la sua intelligenza. Ne consegue che se la persona adulta fosse anche la più intelligente del mondo, non capirebbe fino in fondo quello che le succede quando pretende, perché sarebbe dominata dalla paura. Paradossalmente, quanto scatta la pretesa, anche la persona più dotata diventa più rigida, convinta della propria superiorità, nata dall’infantile idea di onnipotenza.
    Per l’uscita dal tunnel, in cui questa persona è prigioniera, la timologia, come antidoto della pretesa, propone la gratitudine, che va verso l’apertura emotiva e mentale.